Prima di KAYAMARA


Da quando esiste l’universo, ogni sistema tende a preservare se stesso a prescindere dalle sue parti o dai suoi sotto-sistemi. Questa è la regola fondamentale dell’evoluzione, fondata sulla ridondanza, sulla resilienza e sulla selezione.

«Ridondanza» significa sovrabbondanza: il numero di parti di un sistema è superiore al numero minimo di parti che consentono l’esistenza del sistema. Questo comporta che un grandissimo numero di parti o anche tutte le parti possono essere «sacrificate» per conservare il sistema.

«Resilienza» significa resistenza: ogni sistema tende a mantenere la propria struttura (le relazioni fra le sue parti) ed a vincere le fluttuazioni che avvengono in esso.

«Selezione» significa scelta: resistono di più le parti di un sistema che meglio si adattano alla conservazione del sistema.

Per effetto della selezione, la struttura dell’universo è gerarchica e formata da livelli diadici bivalenti: le parti che si trovano su un certo livello rappresentano se stesse rispetto alle parti che si trovano sul livello superiore mentre rappresentano la totalità rispetto alle parti che si trovano sui livelli inferiori.

La fine (la morte) di ogni parte è funzionale alla conservazione della specie e la fine (la scomparsa) di ogni specie è funzionale alla conservazione dell’ambiente, cioè del sistema superiore del quale la specie è sotto-sistema.

I sistemi si formano per caso, in seguito ad un certo numero di tentativi.

Una volta che si sono formati, nasce nei sistemi la necessità di conservarsi.

Questa è la ragione per cui tutta la natura trasforma in fine tutto ciò che nasce come mezzo: ogni sistema nasce come mezzo (organizzativo) di evoluzione delle sue parti, poi si trasforma in fine ed usa le sue parti come mezzi di conservazione.

Sembra un processo infinito. Tuttavia, se è vero che ogni evento determina eventi successivi, è pur vero che non tutti gli eventi successivi sono prevedibili: il sistema, pur essendo finalistico (tende a conservare se stesso) non può, per sua natura, egemonizzare tutti gli eventi che derivano dal suo stesso processo.

Perciò, può accadere che una parte di un sistema o un sotto-sistema di un sistema possano vincere la resilienza del sistema e modificare la struttura del sistema stesso. Ciò si verifica quando la complessità e, quindi, l’intelligenza, di una parte o di un sotto-sistema di un sistema è superiore a quella del sistema di cui fa parte.

Per questo motivo si è affermata la vita: la prima cellula vivente ha avuto una complessità, quindi un’intelligenza, superiori a quelle del sistema dal quale ha avuto origine.

Ciò significa che una parte o una specie vivente che abbiano raggiunto un sufficiente livello di complessità e di intelligenza possono, se lo vogliono, interrompere il processo di selezione naturale e trasformare la struttura gerarchica in una struttura conarchica, priva di livelli diadici.

Come la vita ha iniziato ad usare la materia inerte, così una forma di vita abbastanza complessa ed intelligente può usare l’intero universo, nel senso che può sfuggire alla regola naturale che si è formata all’inizio del tempo e dello spazio modificando la regola stessa.

Naturalmente, resta l’imprevedibilità. Si può determinare la modifica della struttura dell’universo ma non si può completamente prevedere come sarà la nuova struttura.

In questo contesto si pone l’idea dell’immortalità cellulare. Forse l’essere umano può diventare immortale e forse può determinare la modifica della struttura sistemica dell’intero universo ma non può prevedere tutti gli effetti che ne potrebbero derivare. Nemmeno attraverso simulazioni, poiché le variabili di stato del sistema sul quale si vuole incidere sono in numero assai superiore a quanto l’essere umano è oggi in grado di prevedere.

Quindi, bisogna accettare il rischio di tentare, prendendo coscienza che l’unica alternativa è la certezza dello stato attuale, con la conseguente certezza della fine (morte).

Questa è la sfida: oggi l’umanità può tentare di innescare un nuovo processo attraverso il quale ogni sua parte possa conservarsi e svilupparsi, oppure può continuare a conservare e sviluppare se stessa attraverso la fine di ogni sua parte.

Nel primo caso si tratta di vivere per continuare a vivere, nel secondo si tratta di accettare di vivere per morire.

Da questa dicotomia nasce l’idea di KAYAMARA, la sconfitta della morte.

La scienza ci assicura che questo obiettivo è possibile, anche in tempi brevi.

Ma per sconfiggere la morte bisogna creare le condizioni affinché il sistema possa sopportare l’immortalità. Il fine della sconfitta della morte non è tanto e solo un problema tecnico in sé quanto un’assunzione di responsabilità del tutto diverse da quelle attuali. Una responsabilità che coinvolge tutti gli esseri umani.

Serviranno nuovi rapporti e comportamenti sociali, civili, politici, economici e morali, servirà maggiore auto-controllo, servirà una nuova organizzazione che deve necessariamente nascere dal basso, da ciascuno di noi.

Non si tratta di credere o non credere, di sperare o non sperare, ma di utilizzare il nostro stesso livello di sviluppo per trasformare noi stessi per poterci permettere di essere immortali.

È impossibile? Non è vero. Tutta la natura ci dimostra che insieme alla regola della competizione, da cui nasce la selezione, esiste anche quella della cooperazione, che si manifesta ogni volta che due o più parti concorrono insieme al raggiungimento di un fine comune.

Basterà capire, avere coscienza della realtà attuale e volere, nella convinzione che mentre oggi la cooperazione è finalizzata alla conservazione ed allo sviluppo della specie, in futuro dovrà essere finalizzata alla conservazione ed allo sviluppo di ogni essere umano.

Come si realizza un progetto tanto rivoluzionario

Sono già note cause dell'invecchiamento e della morte cellulare.

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